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Le assaggiatrici

Autrice: Rosella Postorino

Editore: Feltrinelli

Anno: 2018

Pagine: 322

A cura di Marisa Guccione

VITA

Nata a Reggio Calabria nel 1978, cresciuta in Liguria, si è trasferita a Roma nel 2002, dove oggi vive e lavora.

OPERE

Ha esordito con il racconto In una capsula (Ragazze che dovresti conoscere, Einaudi Stile libero 2004), ha poi pubblicato alcuni racconti e un saggio di critica letteraria, Malati di intelligenza (nell’antologia Duras mon amour 3, Lindau 2003).

Il suo primo romanzo, La stanza di sopra, uscito a febbraio 2007 per Neri Pozza Bloom, è entrato nella rosa dei tredici finalisti del Premio Strega e ha vinto il Premio Rapallo Carige Opera Prima e il Premio Città di Santa Marinella.

Ha pubblicato inoltre L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne), la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009), Il mare in salita (Laterza, 2011) e Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018), con cui vince il premio Campiello 2018. È fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015).

TRAMA

Il romanzo ”Le assaggiatrici” è ambientato nell’autunno del 1943, durante la II guerra mondiale, nel quartiere generale delle SS, nella caserma KRANSEUDORF, nascosta nella foresta.

Qui, si trova la WOLFSSCHANZE o ”tana del lupo”, rifugio segreto di Hitler. In questo luogo ameno, Rosa Sauen insieme ad altre nove donne, prese dal vicino villaggio Gross-Parth, sono portate dalle SS nella caserma per assolvere ad una pericolosa missione: assaggiare il cibo destinato al Fuher, per salvaguardarlo da possibili avvelenamenti.

La protagonista Rosa è molto diversa dalle altre assaggiatrici, infatti nata nella capitale e sfuggita ai bombardamenti, è chiamata la “berlinese”. Vive ora nel villaggio, a casa dei suoceri Joseph ed Herta, in attesa del ritorno del giovane marito Grieg, partito per il fronte russo.

Le assaggiatrici di Hitler sono come soldati in trincea: perennemente a contatto con la morte, che potrebbe sorprenderle all’improvviso. La nausea stringe lo stomaco, ogni giorno per la paura ma tre volte al giorno, assaggiano lo stesso cibo che le sfama e a cui non rinuncerebbero mai.

La figura di Hitler, come uno spettro, aleggia nell’aria, invisibile. Il cuoco “Briciola”racconta alle donne i gusti del Fuher, il rifiuto di mangiare la carne, l’ossessione di essere avvelenato e la cura maniacale dei suoi baffetti, per nascondere i suoi lineamenti femminei: il ritratto di un uomo patetico e pieno di fragilità.

I rapporti tra le assaggiatrici sono molto difficili all’inizio; schiacciate dalla paura di morire, sono diffidenti l’una dell’altra. Gli stenti della guerra le ha indurite e intrappolate in quel luogo. Non si conoscono, non si sono scelte, sono affamate e hanno perso tutto: i mariti, i fratelli e rischiano di perdere anche la vita; costrette dal bisogno a colludere con il male, sono sopraffatte dall’istinto di sopravvivenza.

Le relazioni tra di loro sono casuali, vivono insieme senza la possibilità di scegliere; la loro è una storia di corpi come gabbie chiuse, di coercizione. Sono solidali ma sospettose, sembrano amiche ma nascondono segreti inconfessabili.

L’unica con cui Rosa sembra legare è una certa Elfride, la più difficile, la più chiusa che nasconde un segreto: la sua origine ebraica.

La vita di Rosa è angosciante. La guerra sembra non finire mai, il suo sconforto diventa totale quando è informata che il suo amato Grieg è dato per disperso in Russia. Allora, si ammutina con la vita, non vuole più combattere e si arrende. Ha perso tutto, anche il suo sogno di diventare madre.

Rimpiange la sua vita passata, i giorni e le notti con il suo amato, le tenerezze di Grieg e si domanda se sia ancora vivo e soprattutto come possa dirgli addio senza la certezza della sua morte. Non è solo solitudine o vuoto, Grieg è mancanza di vita.

Ma, Rosa è costretta a continuare questo lavoro; la vita la costringe a sopravvivere all’orrore.

La conoscenza con il tenente Ziegler, prima in caserma, con complicità di sguardi, poi al ballo della baronessa Maria Frieban Von Mildernhagen, le restituisce un alito di vita.

Rosa e Albert si incontrano tutte le notti, nel fienile dei suoceri. Tra loro scoppia la passione. Rosa dice: “non avevamo diritto di parlare d’amore”. Il loro legame è una colpa, perché il tenente è un nazista.

Albert Ziegler, partito per una licenza, viene richiamato a causa di un attentato ad Hilter da parte dei baroni Frieban Von Mildernhagen. A causa di ciò, le assaggiatrici sono trasferite in caserma.

Elfriede viene scoperta e condannata alla deportazione dal tenente, anche se Rosa, inutilmente, interviene per salvarla.

La guerra finisce e Rosa, non senza difficoltà, torna a Berlino, su un treno merci. Lì, ritrova Grieg, molto ammalato, in un ospedale, e lo assisterà fino al loro addio.

CONSIDERAZIONI

L’autrice prende ispirazione per il romanzo da una storia vera, conosciuta solo recentemente: Margot Wolk, ultranovantenne, prima di morire, ha rilasciato un’intervista in cui raccontava di essere l’unica superstite tra quindici donne assaggiatrici del cibo di Hilter. La Wolk racconta la sua esperienza dopo la fuga, la cattura, gli stupri da parte dei russi, e dei suoi sentimenti di vittima e colpevole per aver reso possibile la vita di Hitler e la follia nazista, senza avere nessun ideale politico. Una storia perciò celata dalla storia.

Seppur considerato da molti lettori un romanzo storico, “Le Assaggiatrici” è un romanzo introspettivo, che indaga oltre il confine tra bene e male, tra coscienza e colpa, tra amore e odio.

Lo spazio dove vive e agisce la protagonista Rosa è claustrofobico. Per salvarsi abbraccerà una colpa più grande: sopravvivere mentre tutti soccombono.

La “colpa collettiva” è informe mentre la vergogna è un sentimento individuale.

Assaggiare il cibo di Hilter non è stata una scelta ma amare Albert è tradire il marito, i suoceri e le compagne. Il desiderio accade e non si sceglie chi desiderare. Per l’autrice, Rosa vive l’ambivalenza della colpa e si chiede fin dove è lecito spingersi per sopravvivere. La sua intimità con il male non è solo il cibo che assaggia per fame ma è anche l’intimità fisica con un nazista. Il desiderio è una rivendicazione umana perché la guerra non può spegnere le pulsioni di un corpo che soccombe alla carne per sentirsi vivo.

Il romanzo indaga su esistenze comuni, sull’ambiguità delle pulsioni degli essere umani, sulle loro relazioni e soprattutto sulla difficoltà di rimanere umani quando tutto intorno crolla; indaga anche sull’illusione di poter sempre scegliere, sulle coscienze e sulle colpe.

Si ragiona anche sulle difficoltà e gli effetti del totalitarismo e delle organizzazioni coercitive.

Infatti, in una intervista, Rosa Postorino cita il romanzo di Primo Levi “Sommersi e salvati”, sottolineando, come in un dominio totalitario, il comportamento umano muti a causa di situazioni estreme; descrive una realtà poco definita o “zona grigia”, dove agiscono i “Kapos”, potere di prigionieri su prigionieri. Parla di una classe ibrida, di prigionieri-funzionari, che costituiscono l’ossatura del lager.

Spinti dalla fame, dall’istinto di sopravvivenza, dal terrore o solo per calcolo, alcuni uomini, spogliandosi della loro umanità, ricavano vantaggi con la complicità delle guardie, così come sembrano aver fatto le assaggiatrici.



Soverato 1 aprile 2019

 
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